duemila duecentosettantacinque - 2275

 

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video "Fall" a questo link:

https://youtu.be/xA1MfUeheaU

 

Duemila Duecentosettantacinque.

Il numero di mascherine raccolte da terra da Giovanni Presutti. Per dare un senso a tale "sollevamento" va riavvolto il nastro artistico del visual activist toscano. Ci troveremo una serie di evidenze che intrecciano una rotta a vele spiegate verso un futuro più sostenibile. Via da un presente di fini microplastiche, alluvioni e montagne di rifiuti, emissioni nocive, scarichi di responsabilità che cementano le migliori intenzioni in una maschera di impotenza. Un invito a esplorare i confini di un paradigma occidentale al tramonto, ad intraprendere un viaggio laddove le certezze sfumano, soprattutto per le generazioni a venire. Partiamo da qui, allora, da un gesto. Il sollevamento, sinonimo di sollievo. Che è pure una liberazione. Non a caso Soullevament è anche il titolo della gigantesca monografia espositiva sul vasto quanto scomodo tema dell’insurrezione al Jeu De Paume (Parigi, 2016). Uprising in inglese, “tirare” su diremmo noialtri. E non è quel che fa Presutti sul solco di nomi illustri? No haras nada con clamar. Perché piangere non porta da nessuna parte, recita Francisco de Goya in un disegno di oltre due secoli fa. Rise up is a gesture. Leggiamo nel catalogo di suddetta mostra che traccia un arco di pratiche sociali di sollevamento. Sociali perché vi è un fine, o meglio un nuovo inizio. Forse, si spera. Sollevare, alzare da terra, raccogliere la mascherina.

Prima ancora di tentare una “azione” volontaria e condivisa, traduco a mano, ci alziamo con un semplice gesto che ribalta di colpo il peso che la sottomissione ci aveva, fino ad allora, imposto. Aggiungo, sollevare un peso, anche simbolico, da terra, significa dunque vincere una forza, una gravità. E la sfida ambientale, lo è. Impone un cambiamento. Non solo climatico. Di pensiero. Ovvero una disobbedienza. Scrive Georges Didi-Hubermans in merito It does not suffice to disobey. It is critical, also, that disobedience – the refusal, the call for insubordination – be transmitted to others in the public space. Non basta disobbedire, ci ricorda lo storico dell’arte francese, o superare il “blocco”, per “lanciarlo in aria” come su una radio pirata, per reiterarne il messaggio. Uno, due, tre… provate a contare fino a 2.275. To give it, in this way, a political meaning. Perché esca dal recinto individuale e assuma una dimensione pubblica, dunque politica. E qui si scopre l’arte, partecipata, nel momento che è concepita come pubblica. All’aperto. Arriviamo alla ragnaia di Villa Rospirosi dove Presutti manifesta il sollevamento. Anzi lo ambienta poiché l'opera si nutre come una pianta di un milieu. Di un contesto. Le mascherine sono raccolte in un totem visivo che figura la società dello scarto posta su una soglia. Un cancello chiuso ne impedisce l’ingresso, anche allo sguardo. Simboleggia tout court una cesura mentale. E di questo scrive Philipp Blom (2020), dell’incapacità di pensare soluzioni alternative nella lingua che parliamo oggi, grazie alle immagini che abbiamo in testa. Perciò servono altre immagini, sostiene lo storico. Trovare nuove immagini all’altezza di queste sfide: ecco il «progetto di pace» del presente.

Tutto il resto ne consegue. Così va letto l’intervento di Presutti, in quel di Prato, una mappa concettuale descrivibile da una diversa “legenda” di pace. Il ricordo della ragnaia allora quale trappola per uccelli diventa un habitus per ripensare il presente e il suo canto. Metafora di una nuova idea di giardino. Ben riassunta dal filosofo Venturi Ferriolo (2019): Il poeta è il cuore e il giardino il teatro del mondo, dove osserviamo le relazioni che garantiscono la vita dell’uomo interconnessa con gli altri elementi animali, vegetali e minerali, che fanno del giardino il luogo profondo e vero del riconoscimento. Una rete di sottili convivenze e reciproche inclinazioni arricchisce il verbo geometrico del giardino all’italiana. Dove il cascare dell'acqua che ne bagna le radici è un sonetto che rotola verso un destino, humus, comune, quello del mare dove il cantico delle creature ha origine. Anche l’umano. Senso, dunque, di appartenenza ad una terra che non è muta.

Anzi è una sottile zona critica direbbe Bruno Latour, di un tessuto connettivo e fibra intima unisce. Servono nuove immagini allora per spezzare quell’isolamento cognitivo, di cui l’epidemia da coronavirus è forse la più recente manifestazione. Lo slow motion della mascherina diventa quello di una foglia liberata dal vento che ne magnifica il decadimento, la futura marcescenza che nutre il ciclo vitale. Ma le cose umane spesso interferiscono con il fiorire e la loro saggezza non è quella di un albero maestro. Perciò ogni gesto, suggerisce Presutti, ha un suo contrario. Il sollevamento. Un gesto poietico certo ma anche antropologico, comportamentale, poiché nega l’usa e getta, espressione fisica del secolare dualismo cultura/natura. Ovvero il fallimento dell’antropocentrismo come primato dei sapiens sulle restanti forme di vita. Esso si palesa negli ingrandimenti delle mascherine. Morbose scansioni biologiche, natura ridotta ad un negativo, vetrini strappati al voyeurismo microscopico. Ogni secolo ha le sue rovine e un suo modo di metterle in immagine facendone paesaggio, scrive d’altra parte Daniele Del Giudice (2013). Quello di Presutti è un monito sulla scala pulviscolare di tale interdipendenza. Duemila Duecentosettantacinque. I numeri quando scritti per esteso diventano irriconoscibili.

Come le mascherine, non ce ne siamo accorti. Per un po' hanno disegnato la paura sui nostri volti.

Steve Bisson

Parigi, Novembre 2023

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