Giovanni Presutti - Photography - è rimasto solo il marciapiedi

Giovanni Presutti in occasione del Cinquantenario dell’alluvione di Firenze del 1966 ha deciso di realizzare una campagna fotografica sul fiume Arno ambiziosa ed unica nel suo genere. Per cominciare egli procede documentando l’immaginario dell’epoca attraverso una raccolta di cartoline storiche, album amatoriali e diapositive originali, quasi a voler ridurre la distanza che lo separa da quei giorni maledetti. Come a volerne attualizzare il contesto, a porre delle basi solide da cui ragionare. Questo colorato immaginario del passato, ricco di echi, è quindi messo a confronto con un nuovo immaginario dell’oggi. Un discorso al presente che egli realizza appositamente fotografando le opere di tutela del rischio idrogeologico costruite perlopiù nei successivi 50 anni, nell’area del bacino dell’Arno. Questa intuizione lo porta a dialogare con i Consorzi di Bonifica competenti dai quali ottiene riferimenti e coordinate utili per muoversi nel territorio. Un lavoro che ha il pregio di rendere meno sconosciuto quel vocabolario, per tecnici ed addetti ambientali, composto da casse di espansione, invasi, sistemi di laminazione, argini, dighe e altro ancora. Presutti attraverso la fotografia evidenzia un insieme di segni nel paesaggio che manifestano apertamente quella intenzione tutta umana di ritrovare un equilibrio con la natura. Un rapporto che non è mai certo poiché la natura non è buona o cattiva, è semplicemente indifferente alle ragioni umane, e pertanto, come società, con essa ci dobbiamo misurare in continuazione. L’indagine di Presutti si conclude con uno sguardo quasi tecnologico sull’avvenire. Il modello 3D dell’innalzamento della diga di Levante o quello del potenziamento dello scolmatore dell’Arno sono una sorta di visione prometeica che ci proietta in un prossimo futuro dove ancora l’uomo è alle prese con la secolare s da della trasformazione ambientale. Il suo più che un racconto è una sorta di ricostruzione, uno spaccato evolutivo che ci invita a riflettere su una delle relazioni congenite alla civiltà: quella con il proprio fiume. Un lavoro prezioso che ci lascia con molti interrogativi sui limiti e sui doveri della pianificazione territoriale.

testo di Steve Bisson - Critico d'arte fotografica

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